lunedì 29 agosto 2011

Sul tetto del mondo!

Lo scorso fine settimana sono partita, destino La Paz, per andare a visitare il lago Titicaca e la Isola del Sole. Io e Laura, un'altra ragazza che sta svolgendo il suo servizio civile a La Paz, siamo partite alle 7 di un freddo sabato mattina. Dopo 4 ore di autobus siamo arrivate a Copacabana, prima tappa del viaggio per raggiungere l' Isola del Sole. Copacabana è una cittadina vivace piena di turisti. E' famosa per la Virgen de Copacabana, la Vergine di Copacabana, patrona dei mezzi di trasporto... tutte le personde che comprano un nuovo mezzo, una macchina, un camion, un autobus, si recano qui per far benedire, challar,  di fronte alla chiesa della Vergine il loro nuovo veicolo!
Dopo aver assisitito a qualche coloratissima challa, e aver visitato la chiesa dove è custodita la statua della Vergine, ci siamo accomodate in uno dei tanti baracchini lungo la spiaggia a mangiare una succulenta trota alla griglia, accompagnata dall'immancabile contorno di riso e patate. Con lo stomaco pieno e soddisfatte ci siamo imbarcate su una piccola lancia, che dopo quasi due ore di gelida e ventilata navigazione ci ha fatte sbarcare nella parte nord dell'Isola del Sole. E' stato come fare un salto indietro nel tempo. Un comitato di bambini ci ha accolte volendo portarci ad alloggiare nell'ostello dei loro genitori. Abbiamo scelto un piccolo ostello giallo, proprio sulla spiaggia. Gli asinelli ci guardavano con i loro grandi occhioni mentre passavamo loro vicino arrancando sulla sabbia e piccole greggi di pecore passavano sul sentiero guidate dai pastori.
La cosa che mi ha colpito di più è stato il silenzio...un silenzio magico e ristoratore, rotto solo dai ragli degli asini o dalle risa dei bimbi...dopo mesi passati in una città boliviana che per definizione è caotica e rumorosa, il silenzio di questa isola mi è sembrato una benedizione per le orecchie e per l'anima.
Sistemati i nostri bagagli nella piccola stanzetta dell'ostello ci siamo incamminate lungo il sentiero che ci avrebbe condotte ad alcune antiche rovine. Lungo la strada tutti ci salutavano cordialmente e con un sorriso. Ovviamente io che sono spendacciona mi sono comprata una collana da un artigiano argentino che vive sull'isola con la sua compagna!
Le rovine che abbiamo visitato ricordavano Machu Picchu in versiona ridotta...sono state uno spettacolo bellissimo ed inatesso, con come cornice l'azzuro del lago che si perdeva nell'azzurro del cielo.
Abbiamo aspettato il tramonto e poi, mezze congelate per il freddo vento che si è alzato (il Lago Titicaca si trova a 3.810 m di altezza...e non è proprio uno dei luoghi più caldi del pianeta...) abbiamo trovato rifugio in una della piccole taverne sulla spiaggia dove ci siamo riscaldate con una ottima zuppa di quinua e una omelette con formaggio. Stanche morte siamo poi crollate nei nostri letti, dopo aver smangucchiato un po'di Toblerone, sorpresa inaspettata incontrata nel negozietto a fianco della taverna.
Il giorno dopo, fresche e riposate, dopo una buona colazione nella stessa taverna, siamo partite a piedi verso l'altra sponda dell'isola, la zona sud. Durante il primo tratto di sentiero, tutto il salita, l'altura si è fatta sentire e i miei poveri polmoni stavano scoppiando...masticando un po'di foglie di coca è andata meglio, ma non ho mai fatto così tanta fatica in vita mia! Fatica che è valsa la pena, perchè arrivate in cima al sentiero abbiamo ammirato un paesaggio da favola. Sembrava proprio di essere sul tetto del mondo, con l'immenso lago blu ai nostri piedi che si fondeva all'orizzonte con l'azzurro del cielo ed il bianco delle nuvole dalle mille forme. Sono rimasta senza parole ad ammirare quello spettacolo superbo. In più o meno tre ore di camminata abbiamo raggiunto la zona sud dell'isola, che è un po'più turistica di quella nord e ci siamo fermate a mangiare una pizza (!!!) in un piccolo locale deserto ma con una terrazza con una vista mozzafiato sul lago. La vicinanza al sole ha fatto il suo effetto sulla mia pelle,e nonostante la crema protettiva sono diventata rossa come un pomodoro!
Con lo stomaco pieno ci siamo incamminate verso il porticciolo dove abbiamo atteso la lancia che ci ha riportate a Copacabana. Da lì altre 4 ore di autobus, sistemate alla meglio su dei sedili scomodissimi in un autobus troppo affollato, per ritornare a La Paz. Arrivate a casa di Laura, stanche morte, siamo crollate in un sonno profondo.
Il giorno dopo ho gironzolato per La Paz con Ruth, una ragazza irlandese conosciuta sull'autobus da Copacabana. Abbiamo visitato El Valle de La Luna, a sud della città. Un paesaggio devvero lunare con alte piramidi di terra brulla dalle mille forme. Nel pomeriggio abbiamo visitato il Museo della coca e il Museo dei tessuti e del folklore. La giornata si è conclusa bevendo un api bollente (una bevanda prodotta con il mais polverizzato fatto bollire insieme a varie spezie) e mangiando un enorme pastel (una specie di panzerotto ripieno di formaggio) grondante olio, nel mercato assieme alle mie amiche.
La mattina dopo sono partita per tornare a Tarija, con la gola stretta come ogni volta che me ne vado da La Paz. Questa città è davvero magica...e anche se non potrei mai viverci perchè è molto complicata, ogni volta mi incanta con i suoi colori, le sue diversità, la gente, la sua storia.

La Bolivia, anche se alle volte è molto stressante viverci con una mentalità europea, è davvero un paese che ti strega.

Riflessioni dopo i primi 6 mesi...

Sono passati ormai 6 mesi e qualche giorno da quando sono partita per l'America Latina. E che dire? Ho vissuto un po' di tutto...gioie e dolori, momenti stracarichi di quella felicità che ti fa quasi scoppiare il cuore e abissi bui di tristezza da cui sembra impossibile uscire. Disillusioni e nuovi sogni, 2 amebe intestinali e la salmonella, ho masticato foglie di coca e bevuto chicha da una zucca. Lima con il suo caos e La Paz con la sua magica altura. Tarija ricca di vino e musica, gli asentamientos (paragonabili alle favelas brasiliane) con i loro bimbi che giocano nella polvere, rabbia e lo stomaco stretto di fronte alla impossibilità di poter cambiare le cose, l'allegria dei "miei" bambini dell'EJACO e il nervoso quando fanno "i matti". Le lacrime quando penso che io ho avuto tutto e loro ogni giorno devono lottare per un pezzo di pane, la commozione quando ascolto le storie delle donne che vengono a scuola la sera. Solo alcune cose...scriverle tutte sarebbe troppo lungo...

Quello che ho capito in questi 6 mesi, che sono passati volando, è che il popolo boliviano è molto complesso, caratterizzato da grandi differenze culturali e linguistiche. Un boliviano di Tarija si sente molto diverso da un boliviano di La Paz o di Santa Cruz. C'è un forte razzismo interno che alle volte mi fa davvero rizzare i capelli...i bianchi sono discriminati da coloro che hanno la pelle scura e viceversa, e poi ci sono i mestizos, meticci, pura miscela di razze, che discriminano tutti gli altri... E' una reltà molto complessa. L'attuale presidente Evo Morales, autoproclamatosi difensore dei popoli indigeni boliviani e della Madre Terra, sembra non essere la persona che tutti hanno creduto...sta tradendo la fiducia del suo popolo, e per prima la fiducia di quei popoli indigeni che lo hanno eletto.
Ho capito che le persone qui ti guardano con molta diffidenza quando non ti conoscono, ma se riesci a guadagnarti la loro fiducia ti aprono le porte delle loro case e dei loro cuori.
Ho capito che questo paese,oggi il più povero dell'America Latina, è stato sfruttato per secoli dagli invasori per la sua enorme ricchezza di metalli e risorse naturali. Ricchezza che ha riempito le tasche di noi occidentali e ha lasciato la Bolivia nella più terribile miseria.
Ho capito che essere una donna in Bolivia è molto dura, perchè devi fare i conti con un maschilismo molto radicato nella società, con abusi, violenza, umiliazioni, e con l'indifferenza della società e della tua stessa famiglia. Quante donne ho conosciuto che non sanno neanche leggere, che hanno cresciuto i loro figli da sole, figli spesso avuti da uomini differenti, che hanno lavorato tutta la vita fin da quando erano bambine, 7 giorni su 7, facendo lavori molto pesanti e spesso disumani, senza però guadagnare abbastanza per comprarsi vestiti pesanti o scarpe chiuse con cui ripararsi dal freddo dell'inverno.
Ho capito che i bambini, quando nascono in una famiglia povera in questo paese, spesso sono destinati a non terminare gli studi, a lavorare per aiutare i loro genitori e a non poter uscire dalla spirale perversa della violenza e della povertà.
Avevo iniziato questo articolo volendolo scrivere ironico ed allegro...ma ha preso questa piega più realistica e un po' triste...mi dispiace. Vi lascio con una foto dei bambini dell'asentamiento che stanno venendo all'EJACO, sperando che la loro allegria, nonostante la loro vita difficile, possa essere per tutti un buono spunto di riflessione...

Lettori fissi

Powered by Blogger.